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172 | fosca |
— Addio, Giorgio, addio! non mi rivedrai più!
La raggiunsi prima che avesse potuto aprirla, la trascinai a forza vicino alla sua sedia. Singhiozzava affannosamente senza piangere. L’abbracciai, e me la strinsi al seno con tenerezza.
— Siedi, siedi, io le dissi, non ti desolare così, farò tutto quello che vorrai. Tu tremi, sei pallida!
— Ho freddo.
La copersi col mio mantello, e rattizzai il fuoco.
— I tuoi piedi sono bagnati, i tuoi abiti inzuppati di pioggia; accostati alla fiamma, così. Datti pace, datti pace. Non sono cattivo, lo sai, non ti farò alcun male, ti ubbidirò, ma non mi spaventare co’ tuoi impeti. Abbi anche tu compassione di me!
Tornai a sedermi, e mi celai il volto fra le mani, per nascondere le lacrime che la pietà di lei, che il dispetto della mia fortuna mi avevano richiamato sugli occhi.
Stemmo qualche momento senza parlare. Fosca si accorse che io piangeva.
— Tu piangi, mi diss’ella, oh mio Dio!
Si lasciò cadere dalla sedia, e mi tese le braccia supplichevole.
— Non piangere, non piangere. Sono un’egoista, una miserabile. Lo so che ti rendo infelice, e non ho la forza di rinunciare a te, non lo posso, ecco la mia sciagura più grande… Oh perdonami, perdonami! Se tu vedessi nell’anima mia! Se tu sapessi come ti amo, come mi sei necessario! Fa’ tutto ciò che vuoi di me, sarò la tua serva, la tua schiava, ma non mi sfuggire, non mi abbandonare. Non potrei stare quaranta giorni senza vederti, sarebbe impossibile, morrei disperata. Ritorna, ritorna. Tu lo vedi. Io morirò assai presto, sento la morte dentro di me; ancora un istante e sarai libero. Tu sei giovane, tu sei bello, hai salute, hai talento, la vita ti sorride, il mondo è tuo,