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168 | fosca |
senza pretendere alcuna cosa da voi; immagino che non me ne contestereste il diritto. Ho con me del denaro, e vi terrò dietro ovunque andrete: nessuno m’impedirà di abitare la stessa città, la stessa casa, di non perdervi d’occhio un istante. Se non m’aveste invitata a discendere, vi avrei accompagnato, come un’estranea, fino a Milano. In quanto a mio cugino, rassicuratevi, gli ho scritto di questo mio amore, gli ho confessato come io stessa vi ho legata a me colla mia insistenza, come avete dovuto sacrificarvi a questa passione e risolvervi ad abbandonarmi con un inganno. Gli ho detto che siete onesto, buono, leale, che il vostro maggior dolore era quello di tradire la sua fiducia (credo di aver indovinato un vostro sentimento); potete essere tranquillo su ciò.
— E credete così di avermi tolta tutta la responsabilità che mi hanno creata le vostre follìe?
— È la seconda volta che usate questa parola «follìe». Credeva che almeno del mio cuore non avreste mai potuto dubitare, che ne avreste rispettato il dolore.
— Ma che cosa pretendete da me?
— Nulla.
— Perchè mi avete seguito?
— Ve l’ho detto.
— Ma io non vi amo, dovete pure avvedervene.
— Non importa, vi amo io.
— Non avete pensato a che cosa vi condurrà questa situazione?
— Non posso avere altro pensiero che il vostro.
— La vostra salute v’impedirà di seguirmi, non avrete forza di giungere fino a Milano.
— Ebbene, morrò per via.
— Voi credete con ciò di farvi amare, di farvi ammirare; la vostra vanità ha forse in questa risoluzione una parte maggiore che il vostro cuore; disingannatevi;