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fosca 15

Thiergarten non si trovano che vicino a Parigi, a Vienna, a Berlino.

L’uomo risente, come le piante, l’influsso dell’atmosfera in cui vive. Io mi vedeva isterilire, immiserire, deperire. Fosse effetto della malattia, fosse influenza di quel soggiorno triste ed uggioso, io mi era interamente e miseramente trasformato. Una malinconia profonda, una disperanza piena di gelo e di scetticismo si erano impadronite di me. Non sentiva più alcun rammarico del passato, nè alcuna trepidanza dell’avvenire. Questo avvenire lo aveva in certa guisa prevenuto. Me ne era formata l’imagine la più triste, la più nera, la più desolante; aveva forzato la mia anima ad accettarlo senza lagnarsene, e così m’era posto in pace con l’unico oggetto che avesse potuto ancora atterrirmi, col fantasma sconosciuto di questo avvenire.

Ho pensato spesso, durante questi anni, a quei giorni pieni di desolazione e di sconforto, a quel lungo inverno di cinque mesi trascorso tra le pareti di poche stanze, senza veder altro volto d’uomo che il mio. Mi sono ricordato ancora di tutto ciò che aveva allora colpito in qualche modo i miei sensi: le larghe finestre a vetrate coperte di ragnateli, il pigolìo dei passeri che beccavano nei canali delle gronde, lo stillare delle nevi che si scioglievano, il rumore degli zoccoli ferrati dei contadini sul selciato fangoso della via — uniche sensazioni, uniche voci che mi avvertivano come vi erano esseri che vivevano d’intorno a me, come io stesso viveva in mezzo ad esseri vivi e sensibili. Ho conservato memoria di quei giorni in un diario scritto sotto l’impressione di quei dolori segreti di cuore, che non giova ora qui riportare.

Allorchè mi allontanai da quel luogo, e sostato nella prima città che incontrai nel mio viaggio, confrontai il