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mente questa idea, che il convoglio era già partito. Io rinunzio a descrivere tutto lo strazio di quella situazione crudele. Ora il segreto della nostra intimità era scoperto; non solo, ma ella aveva abbandonata la sua casa per seguirmi. Se fino a quel giorno io aveva esperimentato la sua dolcezza, ora doveva esperimentare la sua collera: io leggevo ora ne’ suoi occhi uno sdegno represso a forza, una fermezza di proposito che non avrei mai potuto supporre nel suo carattere; si era seduta vicino a me, ma non per altro che come per assicurarsi che non le sarei sfuggito. Non mi guardava, nè pareva volermi chiedere alcuna spiegazione della mia condotta. D’altronde la sua voce era abitualmente sì debole, che il rumore delle ruote mi avrebbe impedito di sentirla.

Mi attenni all’unico rimedio che mi era possibile accettare in quel momento. Alla prima stazione che incontrammo, mi alzai e le dissi:

— Discendiamo, ci fermeremo qui, aspetteremo il primo convoglio che ritorni, parleremo.

Mi ubbidì senza rispondere.

Il paese dove ci eravamo fermati era un piccolo villaggio di poche case, e distava dieci minuti di strada dalla stazione. Il convoglio non sarebbe ripassato che fra sei ore, era necessario attendere in un luogo caldo e coperto; non v’erano carrozze, pioveva ancora, e bisognava percorrere a piedi quel tratto di cammino che ci separava dal paese.

Offersi il mio braccio a Fosca che lo accettò e vi si abbandonò come fosse stata sul punto di svenire. La copersi in parte del mio mantello. La via era tutta fango, tutta pozzanghere, e vi affondavamo fino alla caviglia; tutta la campagna era coperta di neve; stuoli innumerevoli di corvi stavano appollaiati sugli alberi, e saltellavano da un ramo all’altro senza discenderne.