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che questa risoluzione non avrebbe compromesso il nostro segreto. Se nell’apprendere questa notizia, ella avesse rivelato, ne’ suoi accessi, le cause della mia fuga? Se suo cugino?... E poi, ella ne avrebbe certo sofferto, ne avrebbe sofferto orribilmente, avrebbe potuto morirne! Ad ogni modo, se pur nulla di ciò fosse avvenuto, io poteva essere almeno ben sicuro che quella donna mi avrebbe disprezzato, e giustamente. Questa supposizione era tuttavia la meno triste che io potessi fare.

Ma per altro lato quante considerazioni insorgevano a giustificarmi! La mia salute, i doveri che io aveva verso Clara, la mia avversione sempre crescente, l’impossibilità di dividermi da lei in un modo meno violento, quella specie di influenza decisiva che il medico aveva esercitato sopra la mia volontà, tutto ciò doveva pure aver peso in quell’apprezzamento rigoroso che io intendevo fare della mia condotta.

E poi, quali compensi! Sarei sfuggito alle persecuzioni di Fosca, non l’avrei veduta più, avrei ricuperata la mia salute e la mia gaiezza, avrei riveduta Clara, avrei passato quaranta giorni vicino a lei. Quaranta giorni!

Ciò era più che sufficiente a confortarmi di questi scrupoli e di questi timori. Il pensiero di riabbracciare Clara fu quello che mi tenne desto e immerso nelle mie fantasticherie fino al mattino. Ogni qualvolta l’immagine di Fosca veniva a collocarsi d’innanzi a me, quella di Clara insorgeva a frapporsi e a celarmela.

Mi riscossi al suono delle ore che scoccarono alla torre della piazza. Erano le sei, e conveniva partire. Il fuoco si era spento, io mi sentiva irrigidito e ingranchito da quel lungo rimanere sulla seggiola. Uscii da quella stanza con una specie di trepidazione affannosa, ma dolce: dappertutto, vicino al letto, sul divano, nelle inarcature delle finestre, in tutti gli angoli della camera mi pareva di veder Fosca guardarmi inesorabile e minacciosa.