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fosca 157

Ieri mi sono sentita meglio, quelle graffiature mi avevano fatto bene. Dovresti levarmene un poco.

Si tolse uno spillone dalla cintura, me lo diede e mi disse:

— Forami una mano, forami.

— Ma è una follìa! Che idea!

— No, no; esclamò ella con impazienza; lo voglio, te ne prego, Giorgio!

Io allontanai il braccio, ella fu sollecita ad afferrarlo, a tirarlo verso di sè, e a percuotere la mano che aveva libera sullo spillo. Si ferì leggermente; una goccia di sangue cadde sul mio guanciale.

— Ora sono contenta, disse ella, mi fa male, mi abbrucia, sono contenta.

— Va, va, le diss’io, è tardi.

— Sì, andrò, ritornerò domani; fuggirò ancora. Oh! per pietà, non soffrire, non esser triste; guarisci presto, guarisci presto.

Si abbassò a raccogliere lo scialle che aveva calpestato passeggiando. Guardò tutt’intorno alla stanza, guardò il mio letto, i miei mobili, e disse:

— Che pace vi è qui dentro! Che raccoglimento! Che religione! È qui che tu vivi, o mio Giorgio. Si inginocchiò, e stette assorta un istante non so in quali pensieri; si calò il velo del cappello, si alzò, e mi disse con voce ferma e risoluta:

— Un solo bacio, uno solo, e partirò subito.

La baciai; attraverso il suo velo vidi lucere le sue lacrime.

Prese un lembo del mio lenzuolo e se lo avvicinò alle labbra; baciò anche un piccolo libro che v’era sul tavolino. Quando fu vicina all’uscio, tornò indietro, si fermò a piedi del mio letto, si appoggiò colle mani incrociate sulla spalliera, mi guardò un istante; poi uscì senza parlare.

All’indomani il dottore mi trovò assai peggiorato.