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fosca 155


— Buon Dio! è forse la prima volta che ti vedo?

— È vero, diss’ella con tristezza.

— Ebbene, sarò io che voglio vederti, aggiunse per mitigare l’asprezza di quella risposta.

Si alzò, accese la lampada, e tornò a sedersi vicino al mio letto.

— Come sei pallido! Come sei bello! Ah, perchè sei così pallido!

Stette un momento a guardarmi come rapita. Alzò gli occhi, e vide un vecchio Cristo di legno appeso alla parete.

— Tu credi? — mi chiese ella.

— Un poco.

— E preghi?

— Qualche volta.

— Vi fu un tempo in cui ho creduto anch’io, in cui ho pregato anch’io. Quando aveva quindici anni piangeva tutte le sere pregando. In collegio c’era un camerino dove andava a nascondermi per poter esser sola e pregare ad alta voce senza essere sentita. Oh quell’età! quella fede! Ora è tutto finito. Sono tre anni che non prego più; penso sovente al cielo, ma senza invocarlo. Due mesi or sono nei primi giorni che ti conobbi, in una notte che c’era stato un gran temporale, e non aveva potuto dormire, mi alzai e mi affacciai alla finestra. Aveva cessato di piovere, il cielo s’era rasserenato come per incanto e scintillava di miriadi di stelle, l’aria era fresca, imbalsamata, ricca di quel profumo acre che ha la terra bagnata; e allora mi ricordai con più forza di Dio, e tesi le braccia al cielo quasi per chiedergli misericordia di me e della mia giovinezza infelice; ma fu indarno, io non sentiva più la sua voce.

— Tu non puoi non credere, io le dissi, la tua bontà è una fede, la tua virtù è una religione, i tuoi dolori