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torno alla nostra piccola stanza, e aveva sentito fremere sulla mia persona le sue forme piene, pieghevoli, dense!

Il colonnello era stato assai inquieto per la nostra assenza; lo fu ancor più nel vederci tornare in quel modo.

Gli raccontai che, avendo udito le grida di Fosca, era corso verso il torrente e l’aveva trovata a terra svenuta; forse nel cadere s’era offesa il volto e le mani cogli spini.

Fu posta in carrozza, così priva di sensi com’era. Durante il viaggio non abbandonò mai la mia mano che stringeva tra le sue convulsivamente.

Suo cugino mi disse:

— Mi dispiace che ella vi fa stare in una posizione molto incomoda; poveretta, non capisce più nulla, vi ha scambiato per me.

— Certo, io risposi, ella crede di stringere la vostra mano.


XXXVII.

Giunto a casa, incominciai a provare quella specie di leggerezza e di benessere che precede la febbre.

Mi buttai nel letto, smanioso di addormentarmi, di non svegliarmi mai più, giacchè non potevo più reggere agli assalti di tutti quei pensieri che venivano a torturare il mio cervello.

Non tardai ad assopirmi, ma passai una notte terribile; ebbi l’incubo; un fantasma spaventevole s’era buttato sopra di me e mi stringeva, mi soffocava col suo peso; sentivo un affanno, un caldo, una sete, un’oppressura da non dirsi; al mattino mi svegliai come istupidito, mi sembrava di non esser desto; sentiva una gonfiezza penosa nel cuore, e mi pareva che egli si fosse ingros-