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fosca 149

— Ma! io dissi, è però ben certo che si riprovano le stesse debolezze. La vita è un arco, le estremità si assomigliano perché sono vicine. Tutto ciò che vive presenta, nel deperire e nel distruggersi, gli stessi fenomeni che ha presentato nel nascere e nello svilupparsi; si muore come si ha incominciato a vivere, quasi che ciò che noi chiamiamo morte non sia che il formarsi del germe di un'altra vita.

— E queste viole bianche, diss'ella, sono viole da morto, non è vero? Perché i fiori da morto sono tutti bianchi?

Io mi sentiva orribilmente tediato da quelle domande. Il sole tramontava in quell'istante, l'orizzonte pareva in fiamme, i tronchi degli alberi spiccavano vivamente da quel fondo sanguigno ed abbagliante. Io pensava a Clara. Se ella fosse stata con me!

— Non so, io dissi, forse perché sono i più mesti e i più fragili.

— Regalami un fiore.

— Ecco.

Spiccai una primula gialla e gliela diedi.

— Che uccello è quello che canta?

— Mio Dio! Uno scricciolo.

— Come la sua voce è sottile! Che colore ha?

— Credo grigio; eccolo, guardalo lì, su quel ramo.

— Credo che sia il più piccolo dei nostri uccelli.

— Il più piccolo.

— Dammi un bacio.

Mi rivolsi, e la baciai con freddezza.

Se ne avvide, mi guardò e mi disse:

— Ti tormento, non è vero? Ebbene ti bacierò io sola.

Mi prese una mano che si avvicinò alle labbra. Vedendo che io non le dicevo nulla tornò a chiedermi:

— Ti annoio forse? ti faccio soffrire? vuoi che io vada via? Rispondimi.