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148 | fosca |
— Se il non aver affetti e passioni, il non aver coscienza di bene e di male può essere una sorgente di felicità, io credo che sì, dissi. E in questo caso, è anche più avventurata di qualunque uomo avventuratissimo. Ma che ne sappiamo noi? Chi può scrutare nella loro natura?
— Ella era sola, e pareva nondimeno tranquilla. Non si amano forse tra loro?
— Non come noi. Ciò che è strano è che l’uomo soltanto ha orrore della solitudine.
— Tu però la cercavi poco anzi.
— Per un istante.
— Perchè volevi esser solo?
— Per pensare.
— A chi?
— Dio mio!... A nessuno, a me stesso, alla natura. Non hai mai sentito il bisogno di esser sola?
— Sì, quando soffriva... per piangere.
— Ebbene…
— Tu volevi piangere? interruppe ella, e per me?
— Ma no, io dissi con impazienza; buon Dio; voleva esser solo, ecco tutto.
Fosca chinò il capo con aria mortificata, colse una viola, e mi chiese dopo qualche momento:
— Perchè rifioriscono adesso le viole e le margherite, i primi fiori che sbucciano a primavera?
— Credo che si sbaglino, io dissi, il tepore dell’autunno fa loro immaginare che l’aprile sia già ritornato. Vi sono molti fiori che cadono nello stesso errore. I lillà, i rosai, i sambuchi, tutte le piante primaticce tornano a metter le gemme in autunno.
— È vero, diss’ella, l’autunno e la primavera si rassomigliano. È la stessa cosa che la gioventù e la vecchiezza. Chi sa se a ottant’anni si risentano le passioni di quindici!