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146 | fosca |
alzò, esitò un istante, poi attraversò correndo un tratto della riva coperto di acacie e di rovi, mi raggiunse, e si lasciò cadere vicino a me senza parlare.
— Mi sfuggi? mi disse ella finalmente dopo un lungo silenzio.
— No, ma aveva bisogno di esser solo.
— Perchè non avvertirmi?
— Temeva d’offenderti.
— Credevi meno offensivo il non dirmelo?
— Mio Dio! io dissi; ma tu vuoi mettere il mio cuore ad una prova ben esigente!
Ella fece atto di alzarsi.
Io sollevai gli occhi per un movimento quasi involontario, e raccapricciai nel vedere che aveva il volto e le mani tutte coperte di sangue. Nell’attraversare la riva correndo, s’era ferita alle spine delle acacie, s’era lacerati i capelli, e aveva fatto a brani il suo abito.
— Resta, io le dissi con voce commossa afferrando le sue braccia, tu sei ferita, tu devi soffrire.
Ella si guardò le mani senza muoversi, e disse:
— Non me n’ero accorta.
Le sciolsi un fazzoletto bianco che aveva al collo, e le asciugai il volto; andai a bagnarne un’estremità nell’acqua, e le lavai le ferite. Ella mi lasciava fare senza dir parola: guardava il torrente cogli occhi fissi e spalancati, e pareva assorta in una strana meditazione.
— Che hai? le chiesi io; a che pensi?
Non mi rispose.
— Vuoi che mi getti in quell’acqua? mi disse ella dopo un momento di silenzio.
— Fosca, esclamai, non essere così ingiusta con me; io, tu lo sai, io ho momenti di tristezza, durante i quali posso essere qualche volta cattivo, ma tu conosci il mio cuore.