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XXXIII.


Una cosa sovratutto — e la noto qui come quella che può dar ragione dell’abbandono in cui ero caduto, e della sfiducia che s’era impadronita di me — contribuiva ad accrescere il mio dolore: il pensiero fisso, continuo, orrendo, che quella donna volesse trascinarmi con sé nella tomba. Essa doveva morire presto, ciò era evidente. Il vederla già consunta, già incadaverita, abbracciarmi, avvinghiarmi, tenermi stretto sul suo seno durante quei suoi spasimi, era cosa che dava ogni giorno maggior forza a questa fissazione spaventevole.


XXXIV.


Oltre a ciò mi era avveduto assai presto che il nostro amore non era più un segreto, e che tutto il ridicolo di una simile relazione cadeva sopra di me. Ho detto il ridicolo, giacché per tutti coloro che non conoscevano né i casi, né l’indole di Fosca, tali rapporti non potevano essere che argomento di meraviglia e di riso. È difficile che il mondo attribuisca ad una passione amorosa, altre cause ed altro scopo, tranne quelli che hanno in natura. Né è in inganno, giacché, a dispetto nostro, la stima, il cuore, il sentimento non sono che modi e pretesti per condurci al piacere. L’amore il più elevato non ha altro fine che quello che ha l’amore il più ignobile, se non che questo vuol andarvi direttamente, quello per vie illusorie ed obblique. Dare per pietà ciò che si