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fetto? Un uomo celebre, un uomo di genio? un bell’uomo? No, un piccolo mostro, uno sciocco, un cattivo». Oh, mio Giorgio, noi siamo pure le tristi e incoerenti creature!

«Non avendo voluto cedere alle istanze de’ miei genitori che lo avevano scongiurato rimanere con essi, mio marito mi condusse a Torino. Ci accasammo in quella città, dove, diceva egli, aveva avuto rapporti con uomini politici, i quali lo avrebbero aiutato a conseguire una posizione elevata ed una fortuna ragguardevole. Mi fu assai facile avvedermi fino da principio che egli non mi amava, tanto erano artificiose le prove che si affannava a darmi del suo affetto. E non solo non mi amava, ma pareva aver disgusto di me, e sforzarsi a violentare il suo cuore e la sua natura per non dimostrarmelo. Lungi dal comprendere lo scopo di questa dissimulazione, io, nell’immensità del mio dolore, gliene era grata. Sapeva di non essere bella, immaginava che l’intimità e la convivenza mi avessero fatta apparire a’ suoi occhi ancora più brutta di quanto lo era, e gli avessero destato nell’animo una sùbita avversione per me. In questo caso la sua finzione era mossa da un sentimento di delicatezza ch’io non avrei saputo apprezzare abbastanza; era un sacrificio di cui io gli doveva essere riconoscente. Ho serbato lungo tempo questa illusione, e mi sono sforzata a trattenerla, giacché, quantunque non amata, mi era caro il pensare che lo era stata un tempo, che la mia bruttezza soltanto lo aveva diviso da me, e che io poteva ancora stimarlo. In quel bisogno che io sentiva di giustificare ad ogni costo la sua condotta, quante cose ho attribuito alla mia bruttezza!

«Soltanto un mese dopo il nostro matrimonio egli mi aveva annunziato che il governo austriaco aveva posto sequestro sulle sue rendite, per cui diventava necessario esigere da mio padre la riscossione di una parte della