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mille volte nella sua vita aveva rasentato il carcere, e non vi era mai entrato. Dire che cosa era stata la sua vita non è possibile, forse egli stesso non lo avrebbe potuto. Aveva errato di paese in paese, vivendo splendidamente delle sue industrie di avventuriere, assumendo qui un nome, là un altro, atteggiandosi a martire politico, aprendosi mille vie col suo talento, col suo coraggio, colla sua avvedutezza — sempre fortunato, sempre felicemente ingannatore.

«La sua bellezza doveva aver contribuito non poco a questo successo. Egli era alto della persona, ben fatto, giovine, fiorente, biondissimo; aveva aspetto e maniere distinte, aveva aria di bontà e di dolcezza straordinarie, era sempre calmo, sempre sereno e pareva non conoscere che il sorriso. A queste qualità aggiungeva un talento mediocre che aveva l’arte di far apparire un talento superiore. Era intelligente di musica e scriveva versi. Le sue composizioni musicali e le sue poesie erano una specie di salvacondotto, una specie di commendatizia di cui si giovava per accreditarsi presso le famiglie che lo ospitavano, od iniziavano qualche rapporto con lui. Egli non indugiava mai a mettere in luce queste due qualità, e sopratutto in modo sì naturale e sì semplice, che nessuno ne avrebbe mosso rimprovero alla sua modestia.

«Mio caro amico. Oserò darti un consiglio che ti parrà strano, che forse ti farà sorridere, ma che nondimeno è assai giusto. Diffida di coloro che fanno mestiere di far versi, diffida in genere degli artisti e dei letterati mediocri. Durante il tempo che vissi con mio marito ho avuto agio di avvicinarne un gran numero, né ho trovato in alcuna altra classe della società caratteri d’uomini più tristi e più abbietti. Un mezzo letterato, un mezzo poeta, un mezzo artista mi fanno orrore. Hanno