Pagina:Tarchetti - Fosca, 1874.djvu/108

106 fosca

ti scrivo che stasera. Ho avuto caro che oggi abbia piovuto. Una volta la pioggia mi metteva malinconia; adesso mi rallegra. Forse perché ora sono felice, mi piace che la natura sia malinconica? Non lo so. Quando si è felici si amano i piccoli dolori e le piccole contrarietà — forse per ombreggiare meglio le nostre gioie e per darvi un risalto maggiore.

«Devo dunque parlarti di me? scriverti qualche cosa della mia vita? Non so come incominciare.

«Quando era piccina aveva un’abitudine comune a tutti i fanciulli, e di cui veniva rimbrottata assai spesso. Chiudeva gli occhi, e vellicandoli leggermente col rovescio della mano, vedeva dei ghirigori, delle scintille, degli oggetti d’ogni forma e d’ogni colore, delle figurine, ma tutte in modo confuso, intricato, variabile. Mi succede ora intellettualmente lo stesso fenomeno, se tento di affacciarmi alle memorie del mio passato.

«E sì che il mio passato fu assai povero di tutte quelle gioie che formano ordinariamente per le donne una causa di dolci rimpianti — amori, adulazioni, vanità soddisfatte — io ho provato nulla, o quasi nulla di tutto ciò. La maggior parte degli uomini amano inconsciamente il passato per la sola ragione che è passato, io credo di averlo caro per lo stesso motivo.

«Io nacqui malata: uno dei sintomi più gravi e più profondi della mia infermità era il bisogno che sentiva di affezionarmi a tutto ciò che mi circondava, ma in modo violento, subito, estremo. Non mi ricordo di un’epoca della mia vita in cui non abbia amato qualche cosa. Mi asterrei dal raccontarti ora alcune particolarità di questa mia disposizione morbosa, se non fosse che ciò deve spiegarti le molte anomalie che dovrai riconoscere più tardi nel mio carattere. La mia potenza di affettività non aveva né modi, né limiti; era una febbre, una