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credere alla realtà di una sciagura così grande. Fu inganno suo? Fu artificio anche cotesto? Io non lo so, io non so altro se non che mi sono legato per sempre a quella donna. Mi sono lagnato col medico, e gli ho espressi i miei dubbi sulla gravità di quella malattia, e sulla indispensabilità di quella visita fatale. Se ne offese, e mi disse che Fosca sarebbe forse già morta se io non ci fossi andato, e che fra pochi giorni sarà invece guarita.

Terribile e strana creatura in tutto!

Ho ripensato alle cause della mia felicità presente, mi sono posto ancora di fronte al mio passato. Che cosa era io, or fa un anno? Che cosa sarebbe stato di me se Clara non mi avesse amato? La deduzione che ne ho tratto è sconfortante, ma giusta; io fui amato per compassione; non ho il debito di amare quella donna per lo stesso motivo? Sono disgustato dalla felicità. Se non avessi fatto appello ai miei dolori di un tempo, essa non mi avrebbe mai detto quali sieno i miei doveri verso quella donna. Il dolore è più severo e più giusto.

Non è questa mia felicità che io rimpiango — io l’amo la felicità, è vero, ma l’amo come una donna che si disprezza — rimpiango bensì quella di Clara, il bisogno di ucciderla manifestandole il vero, o di offenderla segretamente tacendoglielo. Perché le rivelerò io questa infedeltà forzata? Gliela nasconderò io? E mi crederà ella? Sarà ella generosa? Diffido dell’amore, giacché più egli è profondo, e più è mostruosamente egoista. L’amore è la fusione e la conciliazione di due egoismi che si soddisfano a vicenda.

Non sarei atterrito da questo affetto se credessi alla sua purezza. Avrei anzi accettato volentieri questa missione, per quanto ella sia dolorosa, e non avrei avuto scrupolo di serbarne il segreto, ma così è impossibile. Io vedo le lotte di Fosca; le sue contraddizioni sono