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La baciai.

— Non così, non così, baciami come un’amante!

Si sollevò un poco sul letto, e mi strinse al suo seno con forza. Mi volse la testa verso la luce, si scostò un poco, e mi guardò con entusiasmo.

— Voglio vederti ancora... più bene, così, così... Oh mio amore! Oh mio bello!

Mi riabbracciò con delirio, e ricadde spossata sul guanciale.

— Addio, le dissi io.

— Non partire, non lasciarmi ancora.

— Ma è tardi!

— Resta, resta.

— Verranno a vederti, ci sorprenderanno.

— Ebbene, parti, ma lasciami qualche cosa di tuo, un oggetto portato da te, il tuo fazzoletto.

Glie lo diedi.

— Va’ ora, va’, diss’ella. Fuggi, fuggi... Questa emozione mi ha vinta, la malattia mi riassale; dovrò gridare, verranno a vedermi, corri...

Non intesi più nulla. Riattraversai fuggendo le stanze del dottore che dormiva vestito sopra un divano, e nei cui teschi mi parve di rivedere riprodotta e moltiplicata l’immagine spaventosa di Fosca.

Intendeva ancora dalla via le sue grida acute e terribili.


XXVIII.

Trovo nel mio giornale questo frammento scritto in quel giorno medesimo:

«Sono triste, muto, prostrato, annichilito. Appena oso