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capitolo xv. | 149 |
teva supporre che fosse l’oro cadutomi di tasca? Stupido! a non pensare che bastava averlo involto in una pezzuola per non trovarsi a questo frangente!»
Mentre pieno di confusione Sachicci teneva gli occhi a terra, Comaz gli si fece più da vicino e riprese: «Disgrazie sopra disgrazie: morire, e non altro, è la sorte che m’è serbata. Fate pure il caso che io potessi riscattarmi: rimanere in vita e non ritornare in patria, non è possibile; ritornare in patria e non farmi sposa d’un altro, è parimente impossibile: dunque, io ve ne scongiuro, Sachicci, concedetemi questa grazia, fate che io muoja di vostra mano. Io non ho già dimenticato d’esser figlia d’un militare, e porto meco un pugnale. Uccidetemi, uccidetemi con questo.»