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98 DEGLI ANNALI

sentenza distesa; Torquato si segò le vene delle braccia, e Nerone disse la sua solita canzona, che, se egli aspettava la sua clemenza, benchè nocente, e disperato della difesa, gli perdonava la vita.

XXXVI. Non guari di poi, differito il viaggio d’Acaia (non si sa la cagione), tornò in Roma, facendo delle province d’Oriente, e massimamente d’Egitto, segreti disegni. E per bando notificò, che l’assenza sua non sarebbe lunga, e ne seguirebbe ogni cosa ferma e prospera alla repubblica; e andò in Campidoglio a raccomandare agl’Iddii questa gita. Entrato ancora nel tempio di Vesta, gli venne un tremito per tutte le membra, forse perchè l’atterrì, quella Iddia, o la ricordanza de’ gran peccati che sempre lo tenea spaventato. Onde lasciò l’impresa, dicendo: „Per l’amor della patria, che superava ogn’altro pensiero, vedendo i mesti volti de’ suoi cittadini, udendo le doglianze segrete del tanto viaggio imprender colui cui non avrien voluto perder d’occhio; solendo l’aspètto suo confortarli nelle avversità; come adunque i più cari pegni strìngono i privati, così il popolo romano sforzava lui a consolarli di non partire.„ Questo voleva la plebe, che amava i piaceri e temeva del caro (che è il suo maggior pensiero) stando egli assente. Il senato e i Grandi dubitavano se ei sarebbe, lontano o presente, più atroce; poi credettero, come si fa ne’ gràn timori, che lo avvenuto iusse il peggiore.

XXXVII. Egli, per far credere di non veder cosa più gioconda che la città, mangiava in pubblico, e servivasi di tutta, come di sua casa. Famoso fu il convito ch’ei fece, ordinato da Tigellino, il quale io conterò per un’esempio di suo scialacquare, che serva per tutti gli altri. Nel lago d’Agrippa fabbricò