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LIBRO DECIMOSESTO | 93 |
rinchiuso; poi Peto con le legioni, cui poteva opprimere; assaisi provarsi la sua possanza e benignità. Tiridate sarebbe venuto per lo diadema a Roma, se non l’avesse ritenuto il sacerdozio. Andrebbe alle insegne e immagini del principe, e quivi, presenti le legioni, s’incoronerebbe.
XXV. Lo scriver di Peto, molto diverso a queste lettere, che le cose passavano egregiamente, fece interrogare il Centurione, venuto con gli ambasciadori, in che stato fusse l’Armenia, rispose: sgombrata da tutti i Romani. Allora inteso il parlare de’ Barbari, che chiedevano il toltosi, Nerone co’ principali fece consiglio: qual fosse meglio, prender guerra dubbia o pace vergognosa. Dissero: la gueira certamente; e ne fu dato il carico a Corbulone, che per tanti anni conosceva i soldati e quei nimicì, acciò l’ignoranza non facesse un altrro peccare, come Peto. Così furon senza conclusione gli ambasciadori rimandati, ma con presenti; per mostrare che Tiridate, venendo in persona a chiedere il medesimo, non verrebbe indarno. A Cincio fu data l’amministrazione in Soria, la gente a Corbulone; e mandatogli di Pannonia la legion quindicesima sotto Mario Celso, scritto a tutti i Signori, Re, Governatori, Procuratori e Pretori reggenti le vicine province, che ubbidisero Corbulone, con podestà simigliante a quella che il popolo romano diede a Pompeo per fare la guerra dei corsari. A Peto tornato, ne parve andar bene; che al principe bastò trafiggerlo con questa facèzia: „Io ti perdono or ora, che ogni po’ ch’indugiassi, tu basiresti per la paura„.
XXVI. Corbulone in Soria mandó le due legioni, quarta e dodicesima, che parevano poco atte a com-