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LIBRO DECIMOSESTO 89

avessero voltate le spalle in battaglia. Corbulone lo riscontrò alla riva dell’£ufrate, con la gente, insegne e armi meste, per non rimproverargli la differenza. I soldati per compassione de’ lor compagni non tenner le lagrime; per lo pianto appena si salutarono; non vi era gara di virtù, non desio di gloria, affetti di gaio cuore; sola compassione, e più ne’ più bassi.

XVII. Poche parole si dissero i due Capitani; l’uno si dolse d’aver penduto tanta fatica; essersi i Parti potuti mettèr in fuga, e finir la guerra; l’altro, non esserci rotto nulla: rivoltassero congiunti l’insegne a ripigliare l’Armenia rimasa debole senza Vologese. Replicò Corbulone: „Non aver tal ordine dall’Imperadore: aver lasciato il suo carico, commosso dal pericolo delle legioni; non sì sapendo ove i Parti si voglian gittare, si tornerebbe in Soria; e dielvoglia, che la fanteria per sì lunghi cammini spedata, tenga dietro alla cavalleria pronta e avanzantesi per le pianure agevoli.„ Peto svernò per la Cappadocia. Vologese mandò a dire a Corbulone che levasse, via le Fortezze oltre Eufrate, si che il fiume, come prima, li dividesse. Anch’egli chiedeva che levasse le guardie lasciate in Armenia. Il Re alla fine fu contento. Corbulone altresì smantellò quanto oltre Eufrate aveva fortificato, e gli Armeni rimasero in libertà.

XVIII. In Roma gli archi e i trofei ordinati dal senato per la vittoria de’ Parti, mentre la guerra ardea, pur si rizzavano nel Campidoglio, avendo più riguardo all’apparenza che al vero. Anzi Nerone, per mostrare sicurezza delle cose di fuori e dentro, gittò in Tevere il grano vecchio, e guasto dall’ab-