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LIBRO DECIMOSESTO 87

gente debole, accostandosi più che non osano i Parti, per tirare col troppo ardire il nimico a combattere. Ma essi a pena uscivano dalle tende: difendevano a pena i ripari, chi per ordine del capitano, chi per codardia propria, aspettando Corbulone: o se fussero sopraffatti, presti a valersi degli esempli della caudina o numantina sconfitta. Negavano aver avuto tante forze i Sanniti, popoli dell’Italia, nè i Cartarginesi, emuli all’imperio romano. Anche la forte e lodata antichitade aver cercato salvarsi nelle fortune. Questa disperazion dell’esercito forzò Peto a scrivere al Re la prima lettera, non umile, ma quasi querelandosi: „Ch’ei procedesse da nimico per li Armeni, che furon sempre dell’imperio romano ligi, o sotto Re dato dall’Imperadore. La pace esser del pari utile. Non mirasse solo il presente. Esso esser venuto contro a due legioni con tutte le forse del regno; a’ Romani rimanere per aiutar quella guerra il resto del mondo.

XIV. Vologese non rispose a proposito: „Aspettar quivi d’ora in ora Pacoro e Tiridate, suoi fratelli, per risolvere quanto fosse da far delle legioni romane e dell’Armenia, dalli Iddii aggiunta alla degnitade arsacida.„ Poscia Peto chiedèo per messaggi d’abboccarsi col Re, il quale vi mandò Vasace General di cavalli; a cui Peto ricordò i Luculli, i Pompei, e se altri Capitani tennero o donarono l’Armenia. Vasace, disse, averla noi tenuta e data in cirimonia; essi in effetto. Assai disputaro, e l’altro dì, presente Monobazo Adiabeno, chiamato per testimone, capitolano: che l’assedio si levasse dalle legioni, sgombrassero d’Armenia tutti i soldati, lascias-