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LIBRO DECIMOQUARTO | 69 |
LI. Crescevano ogni dì i mali pubblici, e scemavano i rìmedi. Burro morì di spremanzia, che gli enfiò e serrò la gola, o gli fece Nerone ugnere il palato d’olio avvelenato, quasi per medicarlo, come i più dicevano; e Burro, che se n’avvide, venuto il principe a visitarlo, si voltò in là; e domandato, come stesse; disse, „Bene, bene.„ Lasciò in Roma gran desiderio di sè per la memorìa della sua virtù, e per lo paragone di due successori, l’uno buono e dappoco, l’altro scelleratissimo e disonesto. Perchè Cesare diede a’ soldati pretoriani due Generali, Fenio Rufo, per favore del popolo, perchè egli governava l’abbondanza senza farne incetta per sè, e Sofonio Tigellino, andatoli a sangue per le sporche infamia sue antiche e appaiati costumi. Costui che segretario era delle libidini, prese più l’animo del principe. Rufo ebbe buon nome nel popolo e’ tra i soldati; e nocevagli appresso a Nerone.
LII. La morte di Burro abbassò Seneca, perchè le buone arti non avean tanta forza, avendo pentito un de’ capi; e Nerone aderiva più a’ peggiori; i quali assalirono Seneca con varìe calunnie: „Che egli non ristava di accrescere le sue ricchezze grandi, e non da privato; cercava d’aver seguito da’ cittadini; in bei giardini, e ville magnifiche avanzava il principe, niuno bel parladore teneva esserci se non egli; componeva vèrsi tutto dì, poichè a Nerone venne la voglia del poetare; era nimico palese de’ diletti del principe, schernendo sua valentìa nel guidar cavalli, e ridandosi di sua voce quando cantava. A che fine sfutare nella repùbblica ciò che non esce del suo cervello? Nerone oggimai è fuor di fanciul-