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LIBRO DECIMOQUARTO 67

Massimo; i primi contendendo tra loro di nobiltà, e schifando Trebellio per compagno, l'ebbero per sopraccapo.

XLVII. Morì Memmio Regolo, per autorità, fortezza e fama, per quanto sotto l'uggia dell'imperio si può, tanto chiaro, che Nerone ammalato, adulando certi, che, mancando egli l'imperio cadrebbe, disse: „Non mancare chi sostenerlo„ Domandando essi: „Chi?„ rispose: „Memmio Regolo.„ E nondimeno lo campò il non s’ingerire, l’avere nobiltà nuova e ricchezza non invidiata. Nerone finì le terme; e donò l'olio a’ Senatori e cavalieri con cortesia greca.

XLVIII. Nel consolato di P. Mario e L. Asinio, il Pretore Antistio, stato, come dissi, licenzioso tribuno della plebe, compose pasquinate contro al principe, e pubblicolle a una cena fattagli Ostorio Scapola. Cossuziano Capitone, rifatto Senatore per favore di Tigellino suo suocero, l'accusò di caso di Stato. Parve rimesso su allora questa legge, perchè non tanto portasse rovina ad Anfistio, quanto gloria all’Imperadore, acciò condennato a morte dal senato, fusse salvato per intercessione del Tribuno. Ostorio testimoniò che non aveva udito niente; e fu creduto a’ testimoni contrari; e Giulio Marullo, eletto Consolo, sentenziò che al reo si togliesse la pretura, e la vita al modo antico. Quando gli altri acconsentivano, Trasea Peto con grande onore di Cesare, ripreso Antistio agramente, disse: „Non tutto quello che merita il reo, doversi, sotto il buon principe, se da necessità non è stretto il senato, deliberare. Capestro e boia esser levati più fa; e per leggi, ordinate le pene da gastigare, senza fare i giudici cru-