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LIBRO DECIMOQUARTO 63

a ferro e fuoco. Ma il peggio loro era la fame, essendo al seminare negligenti, e corsi alla guerra di ogni età: fatto assegnamento dei nostri viveri: e andava quella gente bestiale ancor più adagio alla pace, perchè Giulio Classiciano, mandato successore a Cato, e mal d’accordo con Svetonio, guastava il ben pubblico per l’odio privato; spargendo che aspettassero a darsi al nuovo Legato che farebbe lor carezze, non avendo ira di nimico nè superbia di vincitore; e scriveva a Roma, non s’aspettasse mai fine della guerra alle mani di Svetonio, attribuendo alla malvagità di lui ogni male che seguiva, e ogni bene alla fortuna della repubblica.

XXXIX. Laonde Nerone mandò a riconoscere lo Stato di Britannia Policleto liberto, con grande speranza che l’autorità di costui potesse non pure unire il Legato col procuratore, ma co’ Barbari e ribellati una pace. Egli con gran gente, e aggravio d’Italia e Gallia, passò il mare, terribile eziandio a’ soldati nostri; ma i nimici della libertade ancora ardenti e non informati della potenza de’ liberti, si ridevano che quel capitano e quell’esercito, vincitori di sì gran guerra, ubbidissero alli schiavi. Fu nondimeno riferito il tutto all’Imperadore con più dolcezza. Avendo poi Svetonio nell’attendere a sue gravi cure, perduto certe poche navi con lor ciurma in sul lito, gli fu detto che consegnasse l’esercito, come se la guerra durasse, a Petronio Turpiliano, già uscito dà Consolo. Costui con lasciare stare il nimico ed essersi lasciato stare, pose al suo vile ozio onesto nome di pace.

XL. Nel detto anno due brutte sceleratezze ardiron fare in Roma, un Senatore e uno schiavo. Era Do-