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LIBRO DECIMOQUARTO 53

simile alla greca Olimpia, e fu presa variamente, come quasi ogni cosa nuova: „Anche Gn. Pompeo, dicevano alcuni, fu da’ vecchi biasimato d’aver murato il teatro stabile, solendosi alle feste fare i gradi e la scena posticci; e più anticamente il popolo stava ritto a vedere, perchè non si stesse, sedendo, a baloccare i giorni interi. Ne anche osservarsi l’antichità, la quale non forzava niuno a combattere quando i Pretori faceano i giuochi. Ma delle usanze buone della città nostra averne spento il seme a poco a poco la licenza forestiera; vedendocisi introdotto, se nulla è al mondo da esser corrotto e corrompere; tralignar la gioventù, frequentando esercizj stranieri, scuole, ozj e brutti amori. Perchè il principe e il senato non solamente permettono i vizj, ma li comandano. I primi di Roma in vista di recitare prose e versi, dire alle commedie; che altro mancare, che spogliarsi, mettersi i guanti del piombo, e fare alle pugna, in luogo di militar disciplina? Farà forse veri Auguri, buoni cavalieri, l’udire squartar le voci e i nomi addolcire? Impiegarsi anche le notti in queste infamie, per non lasciare alcun tempo alla modestia; compiendo in quel mescuglio quel che da ogni reo uomo s’era il giorno agognato.

XXI. A molti cotal licenza piaceva, e la coprivano con vocaboli onesti: „Non avere anche gli antichi abborrito i piaceri degli spettacoli conformi a que’ tempi, con istrioni chiamati di Toscana, e zuffe di cavalli da i Turj: vinte l’Acaia e l’Asia, essersi fatti più belli. Da dugento anni in qua, che il trionfo di L. Mummio c’introdusse prima questi spettacoli, niuno romano nobile esser diventato, per esercitarli, non nobile. Essersi ancora col teatro fer-