Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/46

46 DEGLI ANNALI

chiaro. Basì di paura, gridando che ella verrebbe subito a vendicarsi, armare schiari, accender soldati, chiamar il senato, il popolo, gridar del naufragio, della ferita, de’ morti amici; che rimedio avrebbe? se già Burro e Seneca non s’aguzzassono un poco; per cui tosto mandò, e forse prima il sapeano. Stettero un pezzo mutoli, per non lo consigliare in vano; vedendo il caso in termine, che se Agrippina non era vinta della mano, Nerone era spacciato. Dipoi Seneca, prima risoluto, guardò Burro in viso, quasi domandandolo se dovea mandarsi soldati a finirla. Rispose: i Pretoriani aver obblighi a tutta la casa de’ Cesari, e memoria di Germanico; non ardirebbon toccare il suo sangue: finissela Aniceto che vi avea messo mano. „Lasciate fare a me,„ disse egli incontanente. A questa voce Nerone sclamò: „Oggi da te, o liberto mio, riconosco l’imperio: corri con arditissimi e fa l’effetto.„ Egli, udito che Agerino, messaggio d’Agrippina, era giunto, gli ordi subitamente un atto da scena: mentre sponeva, gli lasciò cadere tra’ piedi un pugnale. Allora, quasi colto in peccato, il fe’ legare, come mandato dalla madre a uccider il principe, per poter dar voce che ella per vergogna della cosa scoperta si fosse ammazzata.

VIII. Intanto si sparse, come Agrippina aveva corso pericolo per fortuna; corre ognuno al mare: chi monta in su’l molo, chi in su le barche; altri guazza, quanto oltre può; altri si spenzola, o sporge le mani; empiesi ciò ch’è, di lamenti, boci, grida, domande varie, risposte dubbie: accorre con lumi gran popolo; o quando fu inteso il suo scampo, pignevano innanzi per rallegrarsi, sino a che non furono