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cardini. Al levarsi le fiamme sulle porte e nel tempio , restan di sasso i Giudei : indi i Duci e i faziosi, ripreso animo, scappan via d’onde si esce alla città superiore : il resto, volta la costernazion in furore, e risoluti perir col tempio, va da sè contro a morte . altri ad infilzarsi a precipizio nelle spade romane: altri di lor mano ad uccidersi per non cader da ferro profano : molti con farsi vittime nelle sante fiamme ( sì superstiziosa è la nazione ! ) del tempio, di tal morte più di qualunque prodezza esaltano. In tanto lor furore, tutta di Tito la briga era, non si riducesse a tanti cadaveri la vittoria ; e facea di tutto per indurli a vivere e aversi riguardo. Indarno: per tutto fiamme, sin del tempio su’ tetti, che ne riverbera quant’ è vasto il monte. Inorridito e mesto va Tito. Restan suoi soldati accaniti al sangue , anelanti al sacco : e tra ’l confuso gridar de’ Romani e ulular de’ Giudei, va in fumo il tempio. Tal eccidio, ultimo della nazione, il dì proprio avvenne, che dicesi, da’ Babilonesi arso già altra volta lo stesso tempio, assai più ricco e famoso. Tra quegli ardenti avanzi piantaronsi le romane insegne ; e compiuti i sacrifizj, fu Tito gridato Imperadore. Tant’ oro poi insaccò la soldatesca, che valse la metà meno in Siria.
XL. Nè qui stero gli orrori di quella guerra. Al vincitore, a salvar quei resti di nazione inteso , chieder osò la vita la vil turba de’sacerdoti : ebbesi Tito a male che sopravvivesser al tempio, e a vergognosa morte dannolli. Il rifiuto della vita, agli altri tutti offerta, fatto da’Duci Giovanni e Simone, stizzì il vincitore e fe’ l’ eccidio della città. Furon date alle fiamme le già prese fabbriche, come pur le case, fatte