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rovesciate e inoltratesi le flamme, stordirono i Gindei: nè ebber pur lena a Fermar l’ incendio, che dì e notte fe’ guasto. Tito co’ Capi dell’ esercito consigliò sul tempio. Divisi «rano i pareri : chi volea, valesse il diritto di guerra; sarebber contumaci i Giudei fin che sussistea queli ’ edilìzio, ove correau essi da tutta la terra : il solo suo eccidio bastar alla pace: altri che serbassesi il tempio , se entrandovi le legioni bassavan l’ arme i Giudei ; se pugnavano, si rovinasse, come non più stanza di Dio, ma rocca di guerra: e tutta la reità non su i Romani , ma su i Giudei cadendone, ostinati a subbissarlo. Tito, all’opposto , protestò : Che , quando pur resistessero i Giudei , non fora per se mai che di lor pervicacia le pena cadesse sul tempio; non poter opra di magnificenza tanta senza scorno del popolo romano atterrarsi : gran trofeo dell’ Impero, e della vittoria essere il serbarlo. Furon con Tito, Frontone, Alessandro e Cereale : e dato alle legioni agio a riposare, scelsersi coorti, l’arsione a spegner del tempio, e aprir la via da passarvi agevoli le legioni.
XXXVII. Tal vegghiava sul tempio la romana clemenza ; ma correan dirotti a rovinarlo i Giudei, a grand’impeto per l’oriental porta difilatisi addosso a’ Romani , che n ell’anticorte facean l’ ascolta. Resser questi vigorosi all’ urto, ristretti tra loro , e collo scudo in guardia immoti e impenetrabili; ma cedeano al immero, se dalla torre Antonia mirando Tito la zuffa, pronto soccorso non porgeva di scelti cavalli. Non potendo contro Cesare i Giudei, e cacciati oltra , con subitane scaramucce indarno insultando , sempre vinti, fuggonsi al tempio.
XXXVIII. Qui Tito resosi alla torre Antonia pen