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quattr'anni pria della guerra, orrende cose contro popolo, città e tempio, di e notte vociferato avea, per minacce e colpi, dal feral metro non mai fina lido. Cominciato l' assedio, come avverati i presagi, mesto e' n pensier neri assorto, per le mura spasseggiando, guai! sclamava: » Guai, lo impeto, a città, tempio e popolo! » ciò replicando: » Ahi > » aimè ! «, gridò : e cadde morto da uno scocco di balestra. Fresco portento v’ ebbe di più tristo significato ; cessò il perenne sagrifizio.
XXXV. Quindi infieriti i Giudei, tra le loro stragi qua e là corrono ; con ferro, foco, rovine di tetti e mura, conquassi de’ bastioni, opprimer credendo i Romani, o dal tempio farli lungi. Fra tai guasti e fra i portici in fiamme, il magnifico apparve prospetto del tempio. Qual da religione attonito, ristette il roman esercito : vi volle ordine di Tito, d’ ir oltra : e per le sacre opere già da’Giudei profanate, il fio riscotere, col suo eccidio, da gente al cielo e al mondo in ira. S’ersero i terrapieni, giocarono i possenti ordegni; ma indarno, per l’immense moli di sassi. Posersi dunque le scale a’ portici ; nè fer mossa i Giudei, sin ch’ ebbero alla mano i soldati ; cui precipitarono in giù, uccidendo i più vicini, squassando le scale, molti rovesciandone , trafiggendo i già scesi ne’ portici. Pugnaron da bravi gli Alfieri ; ma dalla sena oppressi, furon fatti in pezzi, e prese Je bandiere romane.
XXXVI. Provando Tito, per la sua indulgenza col tempio pericolar de’suoi il valore, crescer la temerità ne’ Giudei, comandò ne s’ ardesser le porte. Dato all’ accolte materie foco, appiccossi a’ legni delle porte, dopo molto lottato coll’ argento che le copria. Quelle