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nemiche, nè l'orrenda fame, che già incrudelia, i feroci animi piegò. E i fuggiaschi stessi dal clemente Tito nel suo campo accolti, cieche trame ordiano, sgozzando cui incontravan solo de' Romani o turando o infettando i fonti: irreparabil male! Molti in pena di tal perfidia, e a terror dei compatriotti, in vista alla città furon fitti in croce, o monchi, rimandati a'suoi. Supplizj, che più negli odj li accanirono: e con nuova rovina macchinava Giovanni vendetta ; chè minando sotto a' terrapieni, e arsi i legni su cui questi poggiavano, furono ad istante ingoiati; fracassaronsi le macchine, e dal foco che sboccò, furon arse a un tratto. Più rio giuoco non v'era stato in quella guerra : pure in due dì circa, fu replicato ; chè a sommossa di Simone tre giovani de' più audaci, Tefteo, Megassaro, Cagira(anco i barbari nomi, per opra insigne, meritan fama) di città usciti, con faci a mano, tra mezzo a' nemici, a dardi, a spade, ad arder si fero ed arsero le macchine su' nuovi bastioni erette: nè spegnarsi potè la fiamma, pe'Giudei che da' muri, e con una sortita , menavan le mani da disperati.
XXXI. Non crollò pel sinistro la fermezza di Tito; ma 'l fe' servire all' eccidio della città; cui in tre dì con incredibil lavoro, di muro e torri per trentanove stadj fasciò sì, che scampo non v' era agli assediati. In tai strette preser molti Giudei la fuga, con non miglior sorte fra'Romani che fra loro. Poichè di lunga fame languenti, da gran satolle di cibi, perian molti. Altri, per l'avarizia della nazione, saputo aver ingoiate lor gemme anzi la fuga, dagli Arabi e Siri furono sparati, nè da tal barbarie fur netti affatto i Romani. Così dumila Giudei n' andarono, con jsdegno di