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LIBRO DECIMOTERZO | 31 |
a ragion molto odiato uomo, non però senza carico di Seneca. Questi fu P. Suilio, regnante Claudio, terribile e vendereccio, e per li tempi mutati abbassato; ma non quanto voleano i nimici; e minor noia gli dava esser chiarito reo, che l’umiliarsi. Credesi, per rovinarlo essere stato rinovato il decreto del senato, e la legge Cincia, del non avocar a prezzo. Egli se ne doleva; feroce per natura, e libero per l’estrema età, e sparlava di Seneca: „che egli perseguitava gli amici di Claudio perchè lo scacciò degnamente: e avvezzo a insegnare a’ giovani lettere da trastullo, astiava chi difendeva i cittadini con viva e reale eloquenza. Esso essere stato questore di Germanico, lui adultero di quella casa: che esser peggio, o per oneste fatiche accettar da un clientolo cortesia, o Ietti di principesse contaminare? Qual sapienza, qua’ filosofi avergli insegnato, in quattr’anni che ci serve la corte, raspare sette milioni e mezzo d’oro? a’ testamenti, a’ ricchi senza erède, tendere le lungagnole per tutto Roma? l’Italia e le province con le canine usure seccare? Quanto a sè, trovarsi pochi danari, e bene stentati. Accuse, perìcoli, ogn’altra cosa voler patire anzi che sottomettere la sua degnità, in tanto tempo acquistata alla subitana felicità di costui.„
XLIII. Nè mancava chi rificcasse queste parole medesime, e peggiorate a Seneca. Ebbevi accuiatori, che Suilio quando resse in Asia assassinò i privati e rubò il comune. Ma perchè fu dato lor tempo un anno a giustificare, parve più breve farsi da’ peccati fatti qua, che ci erano i testimoni pronti. Con acerba accusa avere spinto Q. Pomponio a guerra civile; fatto morir Giulia di Druso e Poppea Sabina