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LIBRO DECIMOTERZO | 29 |
confessa traditore e poltrone. Fece dell’esercito quattro parti: una sotto le testudini a zappar le trìacee: altra a scalar le mura; molti a lanciar fuochi e frecce con istrumenti, tiratori di mano e fionda mise in luoghi da poter da lungi avventar ciottoli; e così rendendo ogni luogo pericoloso, vietava il soccorso a’ difenditori. Combattè questo esercito con tanto ardore, che innanzi la terza parte del giorno le mura furo spazzate, scalate: i forti presi: le porte abbattute: tutti i Barbari uccisi: pochi nostri feriti, niuno morto: i fieboli venduti all’incanto, ogn’altro bottino dato a’soldati vittoriosi. Pari fortuna ebbero il Legato e il Maestro di campo; tre castella presero in un dì: l’altre si davano per terrore, e parte volentieri; il che diede animo d’assalire la metropoli Artassata, e passò l’esercito il fiume Arasse, che bagna le mura: non per lo ponte che sotto quelle è, da poter esser battuti, ma lontano ove è basso e largo.
XL. Era a Tiridate vergogna non la soccorrere, e pericolo in que’ luoghi aspri imbarazzare cavalleria: rìsolvè di presentarsi, e la mattina appiccar la zuffa, o sembrando fuggire, condurre in agguato. Circondò adunque a un tratto il romano esercito, che per avvedimento del capitano marciava in battàglia. Andava nel lato destro la legion terza, nel sinistro la sesta; nel mezzo il fiore della decima: le bagaglio tra le file: mille cavalli alla coda, con ordine di menar le mani, affrontati; allettati, lasciargli andare. Ne’ corni, andavano gli arcieri a piede, e il resto de’ cavalli, allungato più il sinistro a’ piè de’ colli, per girare, se il nimico v’entrava a cingerlo. Tiridate s’aggirava intorno, lontano più d’un tiro d’arco,