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LIBRO DECIMOTERZO | 27 |
dello steccato: nè di quella vergogna levolli se non pregato da tutto l’esercito.
XXXVII. Tirìdate con li aiuti de’ suoi raccomandati, e di Vologese suo fratello, non più copertamente, ma a guerra rotta infestava l’Armenia, e saccheggiava i creduti a noi fedeli: e se gente gli veniva incontra, la scansava: e qua e là volando, spaventava col romore più che con l’armi. Corburlone adunque avendo assai cercato in vano la battaglia, tirato dal nimico a guerreggiare in più luoghi, sparti le forze, e mandò suoi capitani ad assaltar più paesi a un tratto, e il Re Antioco a’ reggìmenti vicini. Farasmane, ammazzato il figliuolo Radamisto come di lui traditore, per mostrarsi a noi fedele, esercitava lo antico odio vivamente contro agli Armeni; e gl’Isichi, nostri amici prima degli altri, allora allettati, corsero i luoghi aspri d’Armenia. Così riuscivano i disegni di Tiridate al contrario; e mandava ambasciadori in suo nome, e dei Parti a intendere: „Onde fosse che avendo poco fa dati ostaggi, e rinnovata la lega, che suole esser la porta a nuovi beneficj, lui volesser cacciare dall’antico possesso d’Armenia. Non avere ancora esso Vologese pigliato l’armi, per trattare anzi con la ragione che con la forza. Se pur vorranno la guerra, non esser per mancar agli Arsacidi la virtù e fortuna, spesse volte con guai da’ Romani assaggiata.„ Corbulone, che sapeva, Vologese aver che fare con l’Ircania ribellata, consiglia Tiridate a racoomandarsi a Cesare, e conseguire per questa via piana e corta il regno stabile, e senza sangue, e lasciar le cose lunghe e malagevoli.
XXXVIII. E non venendo per via di messaggi a