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LV. Roma non se ne mosse : facevasi l’ usata festa di Cerere ; e quando nel teatro venne certezza che Otone era morto, e Flavio Sabino governante aveva fatto quandi soldati erano in Roma giurar fedeltà a Vitellio, si gridò: Viva Vitellio. Il popolo portò le immagini di Galba intorno a’ tempj con corone di fiori e d’ alloro, c feceli di esse a modo d’ un sepolcro a fonte Curzia, ove morendo sparse il sangue. In senato si decretò subito a Vitellio quanti onori mai ri trovaro a lungamente stato principe; a’ germani eserciti, laudi e ringraziamenti, e ambasceria a Vitellio, a rallegrarsi. Si lesse una lettera di Fabio Valente a’ Consoli, non ventosa; ma più grata fu la modestia di Cecina che sen’ astenne. i

LVI. Ma l’Italia era più atrocemente afflitta che aver guerra. I Vitelliani alloggiati a discrezione per le terre, spogliavano, rapivano, svergognavano, taglieggiavano, vendevano con ogni avidezza il sagro e 1 profano ; e alcuni uccisero lor nimici privati, sotto spezie di soldati d’ Otone. I pratici del paese volevano in preda i terreni grassi e i padron ricchi : chi replicava uccidevano: nè ardivano i Capitani, a loro obbligatissimi, rattenerli. Cecina, meno avaro, ma più ambizioso; Valente per li brutti guadagni infame; però all’altrui colpe chiudeva gli occhi. Italia già macinata non poteva più tollerare tanti soldati e cavalli , e danni e oltraggi.

LVII. Quando Vitellio, non sapendo di sua vittoria-, veniva via come a viva guerra, col rimanente delle forze di Germania, lasciati pochi soldati vecchi nelle guarnigioni ; avendo in furia fatto genti nelle Gallio per rinfrescar le legioni che rimanevano. La guardia della ripa commise a Ordeonio Flacco: egli