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XLI. Lo medesimo dì vennero a Cecina. intento a far il ponte, due Tribuni pretoriani a trattar seco. Mentre egli udiva le condizioni e pensava le risposte , eccoti riconoscitori trapelando a dirgli: il nimico esser quivi ; e rotto fu il- ragionare. Se i Tribuni vollero incannare o tradire o partito onesto, non si sa. Cecina li licenziò: tornò in campo ; e trovò da Fabio Valente dato il segno alla battaglia; li soldati in arme; e mentre le legioni traggon per sorte i luogbi, la cavalleria si spinse: e fu miracolo che pochi Otoniani non gli rincacciassero sino alla trincea. La virtù della legion italica gli spaventò, ebe con le spade al viso, li fece voltare e ripigliar il combattere. Ordinaronsi i Vitelliani senza spavento, perchè li folti arbori toglievan l’ aspetto dell’armi de’nemici, benchè vicini. JNelli Otoniani erano i Capitani sbigottiti in 0’lio a’soldati ; tra essi carri e bagaglioni, mescolati: la strada, per le fosse di qua e di là smottate, rimasa stretta ancora a quieto marciare: chi, era intorno alle insegne, chi ne cercava: da ogni banda correre e. chiamar si sentiva : ciascuno, secondo coraggio o codardia, correva nelle prime file o nelle sezze si ritirava.
XLIL Una falsa allegrezza venuta in quelli storditi, che l ’ esercito di Vitellio gli s’ era ribellato, fu per loro tanto peggio. Se questa voce uscì da’ riconoscitori di Vitellio o da gente d’Otone, a caso o per ingannare, non è chiaro. Fermato l’ ardore del combattere, gli Otoniani salutarono. Fu risposto con mormorio nimico; temessi di tradimento, non vedendosi a che proposito quel saluto. Allora gl’investì questo nimico esercito d’ordine, podere e numero, al disopra. Gli Otoniani, benchè male ordinati, strac