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gli eserciti d’Otone e Vitellio, discordanti per la medesima divina ira, umana rabbia e scelerate cagioni. E se", quasi a’ primi colpi, Cniron le guerre di questi principi, abbiasene grado alla lor dappocaggine. Ma il riandare i vecchi e’ nuovi costumi r mi ha traviato: ora seguito l’ordine.

XXXIX. Andato Otone a Brescello, il suo fratello Tiziano comandava in titolo ; e Procolo , Capitan della guardia , in effetto. A Celso e Paulino, intendentissimi, e da niuuo adoperati, il nome vano di capitani addossava gli errori altrui. Stavano i Tribuni e’ Centurioni sospesi : veggendo, sprezzati i valenti, governare quei da niente, i soldati gioivano; ma volevan più tosto conientar le commissioni, che eseguirle. Quattro miglia più innanzi a Bedriaco piacque ripiantare il campo , sì male inteso ; che di primavera, con tanti fiumi intorno, pativan d’acqua. Quivi si disputò del combattere. Otone lo sollecitava per lettere: i soldati vi volevano la persona sua: molti, che si mandasse per le genti poste di là dal Po. Quello che il meglio era fare, non può così ben giudicarsi, come che il fatto fu il pessimo.

XL. Camminossi in ordinanza più da viaggio che da battaglia , sedici miglia sin dove l’ Adda imbocca nel Po, gridando Celso e Paulino, che i soldati stanchi, carichi di bagaglie, si davano in preda al nemico, che spedito, camminato appena quattro miglia, non lascerebbe l’occasione d’assaltargli, o sfilati o occupati a fare il campo. Tiziano e Procolo, quando non sapean risponder alle ragioni, dicevano: » Otone vuol così. » Ed eravi giunto battendo un Numido con sue lettere, che li minacciava del non dar dentro ; struggendolo e l’aspettare, e ’l più staro su le speranze.