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XXVI. Allora la fanteria d’ Otone si difìlò e mise a fil di spada i nimici combattenti, e ’l soccorso in fuga,- perchè Cecina col mandarne pochi per volta e non tutti insieme, gli sbrancò, indebolì, spaurì. Onde il campo si sollevò e prese Giulio Grato maestro di esso campo, per sospetto di tradigione, trattata con Giulio Frontone suo fratello Tribuno nel campo d’ Otone, ove per la medesima cagione anche egli fu preso. Nel fuggirsi, nel rincontrarsi in battaglia, alle trincee, per tutto, fu sì fatto lo spavento , che per comun detto dell’ una e dell’ altra parte, Cecina era del tutto disfatto se Paulino non sonava a raccolta; per non tenere, dicev’ egli, a petto a’ Vitelliani riposati nel campo e freschi, li suoi consumati per tanto cammino e opere, senza aver dietro soccorso alcuno; ragione entrata a pochi: il popolo ne levò i pezzi.
XXVII. Mise il danno de’ Vitelliani non tanto paura , quanto cervello ( non pure a Cecina, che ne incolpava i soldati suoi, più pronti a sollevarsi che a combattere, ma a quelli ancora di Fabio Valente, già comparito a Pavia) a non farsi beffe più del nimico: ricomperar l’ onore, e ubbidire con più dovuta riverenza il lor Capitano ; essendo accesa gran fiamma di sedizione, la quale ora , perchè i fatti di Cecina non erano da tramezzare, narrerò da principio più alto. Gli aiuti batavi ( che noi dicemmo essersi nella guerra di Nerone, andando in Britannia, spiccati dalla legion quattordicesima e congiunti con Fabio Valente ne’Lingoni ) udito il movimento di Vitellio, si vantavano per li padiglioni superbamente, d’ aver fatto stare i quattordicesimani • tolto l’Italia a Nerone; aver in pugno F esiio di tutta la guerra; cosa ingiuriosa a’soldati, aspra al Capitano;