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LIBRO DECIMOTERZO 23

le somme agli Edili curuli e a’ plebei, del pegnorare e condennare; onde Elvidio Prisco, Tribuno della plebe, privatamente nimico d’Obultronio Sabino Questore dell’erario, l’accusò, perchè incantava i beni de’ poveri troppo crudamente. Il principe tolse di mano a’ Questori i libri pubblici, e ne diede cura a’ Prefetti.

XXIX. Questa cosa spesso variò, perchè Augusto faceva eleggere i Prefetti dal senato: sospettandosi poi de’ favori, si traevan per sorte del numero dei Pretori. Nè questo modo durò, perchè uscivano molti inetti. Claudio ritornò a’ Questori: e perchè non andassero adagio per tema d’offendere, diè loro, per poi, pretorie fuor d’ordine. Ma perchè quei che aveano quel primo magistrato eran giovani, Nerone elesse persone cimentate, e già stati Pretori.

XXX. Quest’anno fu condannato Vipsanio Lenate d’aver con rapacità retta la Sardigna. Di simil cosa assoluto Gestio Proculo, cedendo li accusatori. Clodio Quirinale, capo della ciurma dell’armata di Ravenna, per avere con lussuria e crudeltà maltrattata Italia, come vilissima tra le nazioni, innanzi alta sentenza s’avvelenò. G. Aminio Rebio, principalissimo in dottrina legale e ricchezza, per fuggir i dolori in vecchiezza si segò le vene; che tanto cuore non si aspettava in quel vecchio, libidinoso quasi donna infame. Con fama ottima morì L. Volusio di novantatrè anni, giustamente arricchito, senza cadere in disgrazia di tanti mali Imperadori.

XXXI. Nel consolato secondo di Nerone e di L. Pisone, poco fu da memorare, chi non volesse impiastrar le carte, lodando i bei fondamenti, e legnami dell’anfiteatro che Cesare edificò in Campo di Marte; ma per dignità del popol romano s’usa