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come ci fu consegnato, immortale; perchè di voi si fanno i Senatori, e de'Senatori i principi ».
LXXXV. Punse e addolcì questo accomodato parlare i soldati: e piacque la poca rigidezza del punirne due soli; e posaronsi per allora quei che non poteano esser frenati. Non era già riposo in Roma; ma strepito d'armi e faccia di guerra, perchè i soldati, benchè in pubblico niente movessero , con tutto ciò, sparsi per le case , travestiti codiavano tutti coloro che nobiltà, ricchezza o altro splendore , esponeva a' pericoli : e credevasi esservi gente di Vitellio a spiare gli animi de' partigiani ; onde ogni cosa era sospetta, insino alle segrete camere ; ma fuora, ad ogni nuova buona o ria, si cambiava animo e volto, per non mostrare , o dottanza o poca allegrezza. A mali partiti erano in Senato i Padri ; convenendo tacere e parlare con le seste; e l'adulare era troppo noto a Otone, stato pur or cortigiano. Variavansi adunque ne' pareri : e di qua e di là gli storcevano, chiamando Vitellio nimico e parricida. Chi più cervello aveva, ne diceva mali comuni ; chi meno i veri ; ma tra le grida però, e quando le voci di molti, o essi Padri con l' affoltarsi, nascondevano le parole.
LXXXVI. Spaventosi segni oltre a ciò erano rapportati. Cadute le briglie alla carretta ov' era la Vittoria all' entrare di Campidoglio : uscita della cappella di Giunone un' ombra d' uomo maggior che naturale : rivoltatasi di mezzo dì sereno e quieto , la statua del divin Giulio nell' isola del Tevere, da Ponente a Levante: un bue in Toscana aver favellato: più mostri natiT e altre ubbìe, osservate nei rozzi secoli ancor nella pace, oggi a pena vi si bada nelle paure. Portò bene danno presente e spavento di futuro ,