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22 DEGLI ANNALI


XXVII. Dicevasi all’incontro: „La colpa di pochi dover nuocere a quelli, e non pregiudicare a tutto ’l còrpo degli altri sì grande, che le tribù in maggior parte, le decurie e ministri de’ magistrati e sacerdoti, i soldati guardiani della città, infiniti Cavalieri, moltissimi Senatori, non essere usciti altronde. Levandone i discesi di liberti, pochi restar gli altri liberi. Non accaso i nostri antichi avere onorato ciascun grado di sue proprie podestà: la libertà aver fetta comune a ognuno; la quale inoltre ordinarono che si desse in due modi per lasciar luogo a pentimento o a nuovo benefizio. Quei che non eran fatti liberi per mezzo del magistrato, rimaner quasi in servitù; esaminassersi poi i meriti, e non si corresse a darla quando non si poteva ritorre.„ Piacque questo parere. E Cesare riscrisse al senato: Che in particolare a qualunque si lamentasse di suoi liberti si facesse ragione: in generale niente si derogasse. Indi a poco non senza biasimo di Nerone fu tolto quasi di ragion civile Paris istrione alla zia Domizia, da lui fatto prima dichiarare ingenuo.

XXVIII. Eravi pure di repubblica un poco di somiglianza; perchè avendo Vibullio Pretore carcerato certi partigiani di strioni, e Antistio Tribuno della plebe comandato che fussero lasciati, i Padri, approvato il fatto, sgridarono Antistio; a’ Tribuni similmente vietarono l’entrar nella podestà de’ Consoli e pretori, o avocare a sè le liti d’Italia. Aggiunse L. Pisone eletto Consolo, che lor podestà di condannare non usassero in casa: e chi i Questori il mettere a entrata le condennagioni fatte da loro, differissero quattro mesi: in tanto si potesse dir contro, e i Consoli giudicassero: e fu ristretta l’autorità, e tassate