Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/195

XXXI. Gli alabardieri sbrancarono: agli altri della coorte non dispiacque il parladore; e come ne'garbugli si fa, mettonsi in arme per timore, e buon fine per ancora; ma poi fu creduto par infinta ed inganno. Fu mandato Mario Celso a fermare gli eletti dell'esercito d'Illiria, attendati nella loggia di Vipsanio, e Amulio Sereno e Domizio Sabino di primefìle, a chiamar dal tempio della libertà i soldati di Germania. Della legion di mare non si fidava ; odiandolo per quel che Galba ne aveva a prima giunta tagliati a pezzi. Vannone in campo Cerio Severo, Subrio Destro, Pompeo Longino, Tribuni dei pretoriani, per veder di stornar l'incominciata sollevazione, per ancora non gagliarda. Voltansi a Subrio e Cerio con le minacce: mettono a Longino le mani addosso, e disarmanlo; perchè non come soldato, ma come amico di Galba era tenuto fedele al principe, però più sospetto ai sollevati. Co' Pretoriani la legion di mare corre a congiugnersi : gli eletti di Schiavonia, co' lanciotti caccian via Celso : i Germani di corpi ancora infermi, e placati d'animi, perchè Galba trovatili mal conci dal mare tornando d'Alessandria, ove Nerone li mandò, li faceva curar con molta sollecitudine, la tentennarono.

XXXII. Già empiva il palagio tutta la plebe e schiavi mescolati, gridando ( come quando nel cerchio o nel teatro si chiede qualche giuoco): » Muoia Otone: caccimi i congiurati ; » non per giudicio, nè volontà, dacchè il contrario gridaron poi lo stesso dì, ma per usato e vano applaudere a qualsivoglia principe. In tanto Galba si stava tra due contrari consigli. Tito Vinio lodava il tenersi in casa; difenderla con gli schiavi; fortificare le porte; non incontrare