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LIBRO PRIMO | 179 |
generosa laude antica. Oltre alli molti casi umani, in Cielo e terra, folgora ammonitrici, segni e prodigi, lieti, tristi, scuri e chiari. Nè mai fu per sì atroci mali del romano popolo, conosciuto sì bene che gli Iddii non curano la salute nostra, sì bene i gastighi.
IV. Ma prima che io entri nella proposta materia, è da mostrare qual fosse lo stato della città; come animati gli eserciti; come stessero le province; che valido, che infermo per tutto, per sapere, non pure le cose avvenute le più volte a caso, ma le ragioni e cagioni. La fine di Nerone nel primo impeto lieta, cagionò poi vari risentimenti ne’ Padri nel popolo, ne’ soldati della città, e in tutti gli eserciti e capitani; avendo chiarito questo punto, che l’Imperadore poteva esser fatto fuori di Roma. A’ Padri e principali cavalieri, avendo principe nuovo e lontano, presa tosto libertà, pareva esalare. Il popolo migliore, e i seguaci de’ Grandi, i liberti de’ condannati e scacciati, si levarono in speranza: la plebaglia, avvezza agli spettacoli, gli schiavi pessimi, e chi, consumato il suo, campava su i vituperi di Nerone, erano addolorati e avidi di garbugli.
V. I soldati della città, per la lunga divozione ai Cesari, e per aver per arte altrui, non di buona voglia, piantato Nerone, e non veder correre il donativo promesso a nome di Galba, nè riconoscersi nella pace, come nella guerra, i meriti grandi, e che egli era obbligato prima alle legioni che l’avien fatto Imperadore, erano pronti a novità, stimolati dalla malvagità di Ninfidio Sabino, lor Prefetto, che aspirava all’imperio. E benchè fosse il Capo della congiura oppresso sul bel principio, molti si sentivano in colpa; altri dicevano Galba troppo vecchio