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LIBRO DECIMOTERZO 13

spesse, che Seneca componeva e pubblicava per la bocca del principe, per far mostra delle virtù che gl’insegnava, o di suo ingegno.

XII. La madre cominciò appoco appoco a cadere, essendosi Nerone intabaccato con Atte liberta, e fattone consapevoli due be’ giovanetti, Otone di famiglia consolare e Claudio Senecione, figliuolo d’un suo liberto. Questi per la libidine, e per li segreti di pericolo, gli entrarono in gran confidenza: nè poteoci ella, quando il seppe, rimediare; e parve meglio a^ consiglieri del principe (il quale la moglie Ottavia, benchè nobile e ottima, per disventura, o perchè le cose vietate prevagliono, non poteva patire) lasciarlo sfogare in quella femmina, senza offesa d’alcuno, che nelle donne illustri.

XIII. Sbuffava Agrippina d’avere una liberta per compagna, una servente per nuora: e cotali altre cose, senz’aspettare il ripentere o stuccare del figliuolo i cui quanto più svergognava, più accendeva di questo amore. Dal quale sopraffatto, ogni ubbidienza levò a lei, e voltò a Seneca; de’ cui famigliari un Anneo Sereno, facendo lo innamorato di questa liberta, ricopriva da principio il giovane principe; e sotto nome di costui andavano i presenti. Allora Agrippina mutò registro: e cominciò a tentare il giovane con le lusinghe, e offerirgli la sua camera per dare celato sfogo a quello, di che l’età giovanile, e la somma potenza gli facesse venir voglia. Confessava d’essergli stata troppo severa: largivagli tutte le sue ricchezze, poco minori di quelle dello Imperadore: quanto dianzi lo gridava rabesta, tanto ora gli si umiliava. Di tanto