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LIBRO DECIMOQUINTO 117

torìtà, e comandò a Gerelano Tribuno, che con una coorte di soldati andasse e prevenisse il Consolo, pigliando il suo palagio, ch’era a cavaliere alla plazza, quasi una rócca: opprimesse quella gioventù scelta, che e’ teneva per suo servigio, bella e d’una stessa età. Avendo egli quel giorno fomite le faccende del consolato, faceva un convito, senza alcun timore, e lo voleva coprire; la soldateria entrò; fu detto che il Tribuno l’attendeva; e rittosi, e chiuso in camera, venuto il cerusico, segatogli le vene, e messo in bagno caldo, tutto fu uno, semza parlare o mostrar dolore: i convitati fur presi e sostenuti sino a mezza notte, quando Nerone immaginatosi la battisoffìola di que’poveretti aspettanti la morte, ridendo disse, avere essi delle vivande consolari ben pagato lo scotto.

LXX. Appresso comandò la morte di M. Anneo Lucano, che vedendosi versare il sangue, freddandoglisi i piedi e le mani, partendosi a poco a poco lo spirito dall’estremitadi, avendo ancora il petto caldo e la mente sana, recitò, certi suoi versi sopra un soldato ferito, e come lui, moriente: e con questa ultima voce spirò. Senecione poscia, Quinziano e Scevino, vissuti effeminati, morirono virilmente, gli altri senza detto, nè fatto memorevole.

LXXI. Roma era piena di mortori, Campidoglio di vittime. Cui morto era figliuolo, fratello, parente o amico, ne ringraziavano gli Iddii, ornavano le case d’allori, abbracciavano a Nerone le ginocchia, straccavanlo co’ baciamani. Ei credendo farsi per gaudio, perdonò ad Antonio Natale e a Cervario Procolo, per guiderdone de’ tosto rivelati indizj. Milico fu fatto ricco, e si pose quel nome greco che signi-