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LIBRO DECIMOQUINTO | 115 |
LXV. Si disse che Subrio Flavio co’ suoi Centurioni fecer consiglio segreto, sciente Seneca, che morto Nerone, con l’aiuto di Pisone, s’ammazzasse anche lui, e si desse l’imperio a Seneca come innocente, ed eletto per chiarissime virtù al sommo grado. E andava attorno di Sobrio questo motto: „Levarne un chitarrista e porvi un tragediante, non iscemar vergogna;„ perchè Nerone in su la lira e Pisone da tragico vestito, cantavano.
LXVI. Non potettero più frodare la congiura ancora ì soldati; stomacando quelli che avevano confessato, il vedersi da Fenio Rufo lor compagno esaminare. Minacciando egli e stringendo forte Scevino a dir su, Scevino ghignò dicendo: Niuno sapere più di lui; e lo conforta a rendere il cambio a sì buon principe. Fenio non parlò, e non tacque; così gli si rappallottolaron le parole in bocca per lo spavento; onde altri e Cervario Proculo, con l’arco dell’osso si misero a convincerlo. Lo Imperadore il fece, da Cassio soldato, che gli stava appresso, per la sua robustezza, pigliare e legare.
LXVII. E quei si voltarono a Subrio Flavio Tribuno, il quale allegava prima la disformità che un soldato pro’ d’arme non si sarebbe messo con peggio che doane a cotanta impresa. Dipoi, essendo tocco bene, si risolvè a generosa confessione: e da Nerone interrogato per quali cagioni s’era dimenticata la fede giuratali: „Odiaiti,„ disse: „nè avesti più fedel soldato di me mentre meritasti amore. Cominciai a non poterti patire quando uccidesti tua madre e moglie, fusti cocchiere, strione e ardesti Roma.„ Ho messo le proprie parole, perchè non son divolgate come quelle di Seneca; nè men bello è sapere i detti di