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LIBRO DECIMOQUINTO | 113 |
del principe; il quale domandò: se Seneca avea deliberato d’uccidersi. Nè paura, nè maninconia, rispose aver conosciuto in sue parole o volto. „Orsù„ disse „torna, e digli che muoia.„ Fabio Rustico narra, che egli non tornò per la medesima, ma voltò a Fenio Rufo Prefetto, per sapere se a tal comandamento da ubbidire era; rispose, che sì; tanto fu ìn tutti fatale la viltà. Benchè Silvano era de’ congiurati, e fomentava quelle sceleratezze, alla cui vendetta avea già consentito, pure di dare il comandamento a Seneca non ebbe faccia nè voce, e fece entrare un Centurione.
LXII. Seneca riposatamente chiedeo il suo testamento; negandoglielo il Centurione, si voltò alli amici e disse: „Poichè gli era tolto il riconoscerli de’ lor meriti, lasciava loro un bel gioiello, solo rimasogli l’esempio della sua vita, della cui bontà ricordandosi, avrebber lode di sì ferma amicizia.„ Cadendo loro le lagrime, li confortava o riprendeva. „Ove esser la filosofia? i rimedi per tanti anni studiati contro ai soprastanti casi? Chi non sapeva la crudeltà di Nerone? nè dopo la madre e’l fratello, rimanergli chi a uccidere, che l’aio e ’l maestro?„
LXIII, Dette tali cose quasi a tutti, abbraccia la moglie, e alquanto intenerito l’ammonisce e prega che temperi il dolore; col tempo vi ponga piè; tolleri il desiderio del marito con l’onorato piacere del contemplare la vita di lui virtuosa. Ella afferma voler morir seco, e chiede il feditore. Allora Seneca, per non le torre la sua gloria, nè lasciare sì amata donna preda alle ingiurie, disse: „Io ti aveva mostrato addolcimenti alla vita; tu vuoi lo splendor della morte, nè io lo ti torrò. Le nostte morti fia-
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