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LIBRO DECIMOQUINTO | 111 |
cuno della congiura, favellato, incontrato, convitato, essere entrati insieme alle festa, eran peccati mortali. Oltre alle domande crudeli di Nerone e Tigellino a’ congiurati, Fenio Rufo, non ancora nominato, le faceva, per non parer quel desso, atrocissime a’ suoi compagni; e Subrio Flavio, che gli era innanzi, gli accennò d’ammazzarlo: ma Fenio lui già verso Nerone infuriato, e con la mano in sul pome, rattenne.
LIX. Scoperta la congiura, v’ebbe chi consigliò Pisone, che mentre era ascoltata Milico e titubava Scevino, andasse in campo, o salisse in ringhiera a tentar il favor de’ soldati e del popolo. Se i compagni della impresa sua s’adunassero, anco gli altri andrebbero dietro a loro, e al romor grande del movimento, che nelle novità molto vale. A questo non aver pensato Nerone. Le cose repentine sbigottire i valenti, non che quel chitarrista con Tigellìno e sue femmine, movesse armi contro. Molte cose, mettendovisi, riuscire, che paiono ai due a chi si sta. Silenzio e fede in tanti cervelli consapevoli non potersi sperare; tormento e premio ogni cosa forzare. Comparirebbe gente a incatenare anche lui, e ucciderlo indegnamente, quanto morrebbe egli più lodato in abbracciando la repubblica, chiamando aiuti alla libertà: e mancandogli i soldati, abbandonandolo la plebe, più a’ passati, più alli avvenire, giustificato. Non se ne mosse: e poco in pubblico dimorato, si chiuse in casa, e acconciossi a morire. Eccoti venir da Nerone una mano di giovani e novelli soldati, perchè de’ vecchi come a Pisone inchinati, temeva. Segossi le vene delle braccia; lasciò un testamento pieno di brutte adulazioni a Nerone; per amor del