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LIBRO DECIMOQUINTO | 107 |
fu riprovato; ma ella messa in carcere; dubitando Nerone che ’l non provato non fosse vero.
LII. Onde a’ congiurati parve, per non essere scoperti, da sollecitar d’ammazzarlo in villa di Piscina a Baia^ ove spesso Nerone per vaghezza di quella amenità veniva, entrava ne’ bagni e mangiava, lasciato il suo gran traino di guardia o corte. Ma Pisone non volle carico d’imbrattar le mense sagre, e gl’Iddìi Ospiti, col sangue del principe, quantunque reo. Meglio in Roma, in quella odiosa, e delle spoglie de’ cittadini edificata reggia, ovvero in pubblico, l’impresa per la repubblica compierieno. Così dicea loro; ma in sè temea, non L. Silano di somma nobiltà, da C. Cassio allevato e sollevato ad ogni splendore, s’insignorisse dell’imperio con gli aiuti che avrebbe pronti de’ non intìnti, e aventi compassimi di Nerone, quasi sceleratamente ammazzato. Fu creduto che Pisone dubitasse anco di Vestino Consolo, feroce, e da voler rimetter la libertà o dar l’imperio a chi lo riconoscesse da lui. Della congiura non sapeva niente, benchè Nerone se ne servisse a sfogare il suo antico odio.
LIII. Fermarono finalmente di far l’effetto nel Cerchio il giorno della festa di Cerere; perchè Cesare usciva poco fuori di casa e dei giardini; e quando nel Cerchio andava a rallegrarsi di quegli spettacoli, era più agevole accostarglisi. L’ordine dato, fu, che Laterano, quasi chiedendogli aiuto per vivere, gli si gittasse alle ginocchia; e fattol cadere, come grande di corpo e d’animo, il pigiasse; corresacci Tribuni e Centurioni, ciascuno secondo suo coraggio, e lui in terra e intrigato, ammazzassero. Servino chieder d’essere il primo con un pugnale tratto del tempio