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DEGLI ANNALI | 106 |
detta. Quando i congiurati seppero, anche con sue parole, che il Prefetto era de’ loro, fatti di miglior gambe, ragionaron del quando e dove far l’uccisione; e dissesi che venne pensiero a Subrio d’assalirlo quando cantava in su la scena o quando ardendo la sua casa, la notte, scorrazzava qua e là senza guardia. Qui l’averlo solo, quivi lo stesso cospetto di tanti testimoni, infocarono quel bello animo; se non l’avesse raffreddato la voglia del salvarsi, a’ nobilì ardimenti sempre contraria.
LI. E tentennando e allungando tra la paura e la speranza costoro, una certa Epicari spillò la cosa (non si sa come, non essendo prima stata donna di concetti d’onore); e li riscaldava e riprendeva di tanta lentezza; e non potendola più sopportare, stando in campagna, cominciò a contaminare e intignervi i Capi dell’armata Misena. Uno era Volusio Procolo trovatosi a uccider la madre di Nerone, e per tanta sceleratezza non fatto grande quanto pensava; di che discredutosi con costei, che sua amica era, vecchia o nuova, e dolutosi d’aver tanto servito Nerone, e senza pro, minacciò di vendicarsene a luogo e tempo; onde ella prese speranza di tirar lui e molti altri nella congiura, a cui l’armata dava di grandi aiuti e occasioni, perchè Nerone si solazzava spesso nel mare di Pozzuolo e di Miseno. Così gli cominciò a contare tutte le ribalderie del principe, e che il senato non se ne stava; ma aveva, al vendicar la repubblica rovinata, trovato il modo; mettessecisi anch’egli; facesseci opera; tirasseci i soldati suoi più feroci; che buon per lui; e i nomi de’ congiurati si tacque. Procolo rapportò il tutto a Nerone, ad Epicari messagli a petto, non producendo testimoni,